Jafaar è un povero pescatore palestinese. A causa delle restrizioni imposte dalle autorità israeliane, la sua rete ormai si riempie solo di spazzatura, la sua casa è stata occupata dai militari e lui non sa come pagare i debiti.

 

A casa la moglie lo aspetta rassegnata, cogliendo olive da un albero che le è stato lasciato in eredità dal padre e sembra l’unico mezzo di sussistenza della coppia. Un giorno però nella rete di Jafaar, assieme a vecchie ciabatte di gomma spaiate, resta impigliato anche il bizzarro naufrago del titolo: un grosso maiale vietnamita, capitato chissà come tra le onde del mare di Gaza e che per l’uomo si rivelerà prima un ospite incomodo, poi una insperata fonte di guadagno.

Il film di Sylvain Estibal, premiato in Francia con un Cesar come migliore opera prima, è una piccola commedia delicata ed elegante che riesce nel difficile obiettivo di far ridere e sorridere pur affrontando un tema assai insidioso: l’occupazione della striscia di Gaza e l’infinita guerra tra Israeliani e Palestinesi. Il maldestro Jafaar, interpretato da Sasson Gabai, alle prese con un animale impuro tanto per lui quanto per i suoi antagonisti, è in realtà un uomo dall’animo semplice e  a suo modo pieno di tenerezza. Gli fanno da contorno una serie di personaggi irresistibili che consentono al regista di esplorare con sguardo divertito e sempre indulgente una serie di rocamboleschi nonsense e di atteggiamenti paranoici che non risparmiano nessuna delle parti in causa. C’è l’amico parrucchiere di Jafaar che gli fornisce un kalashnikov per uccidere l’animale impuro, c’è la colona israeliana di origine russa che alleva maiali per sfruttare la loro abilità nel fiutare gli esplosivi, c’è il soldato israeliano appassionato di telenovelas brasiliane e gli integralisti palestinesi che cercano di convincere Jafaar a farsi esplodere con il suo maiale per diventare un martire.

E soprattutto c’è lui, il naufrago del titolo, che trotterella serafico attraverso le inquietudini e gli affanni degli uomini con leggerezza e irresistibile inconsapevolezza. Mascherato da pecora, occultato in una vasca da bagno o accessoriato con calzini variopinti affinché non tocchi con le zampe impure il territorio palestinese né quello israeliano, è lui il vero protagonista e non riusciamo a non innamorarcene. Il racconto di Estibal è una piccola gemma di surreale poesia che oppone uno sguardo pieno di umanità alla violenza del conflitto e dell’antagonismo tra i popoli. Quasi una favola che fa bene al cuore in uno scenario di insensata violenza. Un film a suo modo di denuncia che strizza l’occhio alla farsa trovando nel maiale del titolo originale (Le cochon de Gaza) un surreale, imprevedibile punto di incontro tra due popoli.

 

Gloria Bondi
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