2 novembre 1975. Ore 6.30. Una donna esce dalla sua casa, una baracca abusiva in Via dell’Idroscalo, ad Ostia. Intorno tutta la desolazione di una periferia abbandonata a sé stessa, un campetto da calcio invaso dal fango, vegetazione sparsa, rifiuti ovunque. La donna scorge un sacco della spazzatura lungo la stradina che da casa sua porta sulla strada principale. Imprecando, si avvicina per spostarlo e in quel momento si accorge che il sacco della spazzatura è in realtà il corpo di un uomo. Il corpo di un poeta. Il corpo di Pier Paolo Pasolini.

“Più dei Santi, meno dei morti” è il testo scritto e diretto da Alessandro veronese in scena la prossima settimana al Teatro Libero di Milano. Un testo sulla notte in cui Pasolini venne ucciso che parte proprio dal ritrovamento del suo cadavere.

Il corpo massacrato. Fratture ovunque, alle braccia, al costato, alla mandibola, ferite sul collo, sulla fronte, sulla nuca. Il cuore scoppiato per il passaggio di un’autovettura sul suo torace. Il sangue, mischiato alla melma, al fango che fa assumere al cadavere un colorito terrificante. Non sarà l’unico tipo di fango gettato sulla figura di Pier Paolo Pasolini. Ancora oggi, per la giustizia italiana, Pier Paolo Pasolini è un pedofilo, uno stupratore che ha cercato di abusare di un minorenne, il quale reagendo lo ha ucciso.

Ma questa storia non è vera. Pasolini non è morto per una stupida “lite tra froci” e le bugie raccontate per decenni da Pino Pelosi, ormai parzialmente confessate anche da lui stesso, hanno celato fino ad oggi una vicenda molto più agghiacciante. Una vicenda che parte da molto lontano, da tredici anni prima, da una bomba collocata sull’aereo su cui viaggiava il Presidente dell’Eni Enrico Mattei, una vicenda che si trasferisce nella Sicilia del 1970, dove viveva e lavorava il giornalista del quotidiano “L’Ora” di Palermo Mauro De Mauro, scomparso nel nulla proprio mentre indagava sulla morte di Mattei, una vicenda che si conclude (forse) tra le pagine di un libro, l’ultima opera di Pier Paolo, mai terminata, e pubblicata soltanto diciassette anni dopo la sua morte. Un libro enigmatico, un libro impubblicabile, inaccettabile, poiché in quel libro Pier Paolo voleva raccontare tutta la storia italiana “nascosta” dal dopoguerra in poi, svelare i retroscena e i meccanismi del potere. Al centro di tutta la vicenda, l’Eni. Il titolo di quel libro è Petrolio.

Fenice dei Rifiuti porta in scena una vicenda che ha tutti i connotati della tragedia, senza un deus ex machina a risolvere la vicenda, né una catarsi. Lo fa trasferendo nella contemporaneità gli elementi tipici della tragedia: la metafora spinta, l’eroe con tutte le sue contraddizioni, il coro, qui portatore di un linguaggio, fisico e verbale, spinto all’estrema provocazione, indigeribile, inaccettabile. Come inaccettabile era Pier Paolo. Frocio, comunista, pedofilo e stupratore.

In scena Laura Angelone, Federica D’Angelo, Christian Gallucci, Michela Giudici, Vanessa Korn, Susanna Miotto, Alessandro Prioletti, Alessandro Veronese.

 

Gloria Bondi
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