Alle volte si ha la fortuna di assistere ad un matrimonio felice, si diventa testimoni di un’unione armoniosa, dove le parti si congiungono fondendo gli aspetti migliori, dando poi vita a qualcosa di nuovo. La cerimonia in questione è stata celebrata al teatro dell’Arte, in Via Allemagna 6 a Milano, dove classico e moderno si sono uniti, grazie al cerimoniere Claudio Autelli, che ha portato in scena ” La morte di Ivan ll’ič “, pièce tratta dall’omonima opera , pubblicata nel 1886, di Lev Nikolaevič Tolstoj, e magnificamente riadattata, per il teatro, da Raffaele Rezzonico.

Certo è riduttivo definire semplicemente come “classici” i componimenti letterari di Tolstoj. Diciamo che per classico intendiamo uno stile riconosciuto come inconfondibile, che richiama ad una certa riverenza, dovuta a chi si è guadagnato un posto di indubbio rilievo nel panorama della letteratura mondiale.

Moderno è, invece, un termine che ben definisce la novità e la freschezza della regia di Autelli.

Questo giovane, che da poco ha concluso le frequentazioni dei corsi al Teatro Litta (e che già si è misurato con un altro gigante, Harold Pinter, dimostrando con la pièce “L’amante” uno smisurato talento), ha interpretato pienamente lo spirito che sottende all’opera di Tolstoj.

Dal palco si irradia, infatti, la disperazione di Ivan ll’ič Golovin, rampante giudice della Corte d’Appello di San Pietroburgo, che di fronte al destino di una morte prematura, resta allibito nel constatare che la sua esistenza, in realtà, non lo appaga minimamente.

Il protagonista sente la lontananza dei suoi cari e si accorge di come la posizione, duramente guadagnata all’interno della società, sia priva di significato, e quindi, si abbandona (tra gli spasmi di dolore per via del male che lo ha colpito) ad una straziante disperazione che lo condurrà alla più ineluttabile delle conclusioni: la morte.

La trasposizione teatrale del dramma, a ben vedere, risulta priva di alcuni particolari e personaggi, che, invece, ritroviamo nell’opera originale di Tolstoj. Questa mancanza è giustificata, però, da una volontà, da parte di Autelli e Rezzonico: quella di concentrare l’attenzione proprio sui pensieri del protagonista.

La parabola del dolore di Ivan è, infatti, totalizzante all’interno della rappresentazione. E gli spettatori hanno un posto privilegiato, avendo libero accesso alle emozioni che attraversano la mente di ll’ič Golovin durante gli ultimi istanti della sua vita.

Come accennato prima la regia è sublime, capace di restituire quell’atmosfera tragica, ma allo stesso tempo incredibilmente affascinante, che pervade la letteratura russa.

Le soluzioni di messa in scena sono semplicemente efficaci, stimolano l’immaginario del pubblico, tenendolo in bilico tra la dimensione reale e quella onirica.

Le straordinarie sequenze di ballo unite alla scelta più che misurata delle musiche, riassumono, senza bisogno di parole, l’intricata rete di relazioni contraddittorie che sussistono tra Ivan, la sua famiglia e i conoscenti.

Anche se la pièce dura poco meno di un’ora e venti, in realtà si ha la sensazione di aver vissuto un intero pezzo della vita di Ivan. Già dal primo momento in cui si accede in sala, infatti, si è letteralmente catapultati nella sua esistenza e il suo dolore contagia da subito.

Complice di questo trasporto è anche la luce, che dipinge, con svariati colori, gli stati d’animo dello sfortunato protagonista e che in alcune sequenze, soprattutto in quella finale, assume un aspetto iconografico, che rimanda alla tradizione pittorica del ‘600 e del ‘700.

Straordinarie sono anche le scenografie e l’uso che Autelli ne fa. Il regista, infatti, trasforma letteralmente lo spazio, creando un interno ed un esterno, un centro e una periferia, una contrapposizione tra lo spazio profondo dell’interiorità di Ivan, e quello occupato dalla rigida superficialità di chi gli sta intorno.

I complimenti sono d’obbligo a tutti coloro che hanno reso possibile questa immersione nell’immaginario di Tolstoj.

Un’attenzione particolare è da prestare al bravissimo Claudio Autelli che, nonostante sia solo all’inizio della propria carriera, già denota uno stile ed una preparazione encomiabili, restituendo una certa fiducia nei fin troppo poco considerati giovani talenti.

Di Valentina Giordano e Marco Lamera.


Di Raffaele Rezzonico; regia Claudio Autelli; Compagnia/Produzione: CRT Centro di Ricerca per il Teatro; assistenti alla regia Elisa Murgese e Giacomo Ferraù; scene e costumi Emanuele Crotti; luci Luigi Biondi; con Giulio Baraldi, Fabrizio Lombardo, Valentina Picello, Giulia Viana, Francesco Villano; tecnico luci Giuliano Bottacin; macchinista Petra Trombini; amministratore di compagnia Andrea Perini.

Teatro dell’Arte CRT, viale Allemagna, 6, 20121 Milano (Lombardia), Tel (+39) 02 861901 da giovedì 14 a sabato 30 gennaio 2010

Valentina Giordano
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